Salvatore Capezio nacque il 13 aprile 1871 a Muro Lucano (Pz) in un bel Paese sui seicento metri disteso a gradinata sul pendio, zona di gente forte, cara al nostro Ciro Spera, e alla Storia, per la battaglia tra Annibale e Roma. Del resto ognuno di noi ha un “muro” dal quale proviene, se non lucano, almeno familiare.
Il padre, era ingegnere, ma lui volle fare il calzolaio, non sapendo, che sarebbe diventato “il Calzolaio” anzi lo “shoemaker” e non a Muro ma, incredibilmente, nella fantasmagorica New York, New York.
Per fare questo ebbe la forza di imbarcarsi a soli sedici anni per l’avventura e soprattutto, disponendo di un “gruzzoletto”, di riuscire ad aprire, a soli diciassette anni, un negozio a due passi dalla Metropolitan Opera House, con la pretenziosa, ma mai tanto preveggente insegna, “ The Theatrical & Historical Shoemaker.”
Capezio, era un predestinato ed ebbe successo da subito, come tutti quelli di gran talento e di forte determinazione. Le due cose necessariamente devono coincidere.
Lui, come tanti altri italiani, era nato per fare l’artigiano o meglio per fare le scarpe (senza doppi sensi semantici, anche se ci sono italiani, che hanno gran talento, anche nel secondo senso) o meglio le scarpe di danza. Lui le scarpe di danza le faceva bene, a perfezione, perché aveva sviluppato una forte empatia con i sacrifici delle danceurs, e in un certo qual senso voleva alleviare le loro sofferenze e stimolare la loro ambizione. Il passa parola, allora e oggi è più rapido di qualsiasi spot multimediale. Capezio, diviene presto una leggenda e ancora lo é. Tanti furono i grandi artisti che si servirono della sua arte , ma a noi ne sta a cuore, non può non essere così, soprattutto uno, il mitico Fred Astaire.
Il più grande ballerino di tutti i tempi e non perché lo diciamo noi, ma perché, votazione ed elezione senza eguali, lo hanno detto tutti i suoi colleghi Nureyev e Baryshnikov compresi.
Non so quanto merito di quella classe elegante eterea, catartica, pacificatrice, angelica risiedeva nelle scarpe di Capezio , forse non molta, ma a noi piace credere che quest’arte italiana e artigiana, abbia inciso in quello che abbiamo visto e rivisto ancor di più apprezzato, non sapendo ballare neanche la “mattonella”.
Fred danzava su una nuvola e l’America con lui, nessuna ideologia totalitaria poteva fermare il ritmo del suo tip-tap e il mondo gli andò stretto. Chi ballava e ancora balla aveva in mente Fred Astaire, così come chi dipinge ha in mente Michelangelo. Forse per questo, nelle balere si dice “non ti credere Fred Astaire”, forse no nelle discoteche, i giovani non guardano indietro ma avanti.
La sua Ginger, dai frequenti litigi, lo completava ma mai lo caratterizzava. Forse solo in “Never gonna dance” sembrano un unicum, come quelle statuine con il carillon, legate per sempre dalla materia composta e dalla musica.
Nessuno come Fred. Chi può provi; sapeva fare la “veronica” sospesa e laterale esempio di cosa sia il miracolo di gravità e di evitazione; qualcuno faccia scorrere la musica e seguire il ritmo, neanche come l’aria segue il vento e capirà il segreto della vita e quello del tempo e del suono, suo figlio ribelle ma sincero perché anticipa la verità.
Qualcuno guardi il volto di Fred e l’incedere e la rassicurante espressione del tutto e poi dica se un angelo non é così, se non fosse ingabbiato nell’essere. E’ vero, la nostra canonica comprensione e figurazione è obsoleta e distorta perché sottace la percezione estetica. Un angelo, può essere un anziano, magari un clochard, che ti chiede un aiuto o la signora anziana che ti passa accanto e neanche la vedi. Si camuffano, si nascondono, si mimetizzano, non ci sono. Semplicemente Fred, aveva avuto il permesso di manifestarsi ballando o interpretando Papà gambalunga o vestendo frac, cappello a cilindro, top hat, come dice Lui, o cantando Heaven. Balla ancora Fred da qualsiasi parte, ma balla non si può fermare, se è vero che il ricordo sviluppa una verità parallela.
Ci sono alcune luci che non si devono spegnere, per non farci perdere la speranza. Non è più epoca di Fred e poi la sentiamo la prosaica e brutale affermazione: che senso ha ancora tutta quella classe, che poi era semplicità, e quello swing? Il senso perenne dell’eleganza e, soprattutto, della rassegnata, consapevole esaltazione del proprio compito, del proprio impegno, della propria missione. Ognuno infine e in fondo, deve fare bene e di meglio quello che è chiamato a fare sennò tradisce il mandato, lo scopo ultimo. Se si sa fare l’artigiano si fa l’artigiano, se si sa fare il danceur, si danza, si rappresenta qualcosa di musicale di artistico. Si può’ essere poeti o artisti o eroi o anche santi, pensatori e scienziati ognuno in fondo entra, se vuole, in queste tipologie di discorso che aldilà delle tragiche colpe del pronunciante, sembra comunque ispirato dall’alto, nel rappresentare la migliore umanità.
A volte, succede, purtroppo, che i messaggi arrivino per voce sbagliata, oppure che la voce pur se sbagliata, sia autorevole circostanziatamente. Poi, ognuno porta con sé la sua personalità e con i suoi comportamenti, le risposte , se volete a spiegazione per quanto si può, di questa inestricabile incertezza, di questo imperscrutabile caos, che, senza pronunciamenti, è la vita. E non bisogna arrendersi dal farlo, non bisogna smettere di rappresentare se stessi, il meglio di se stessi. Voltaire, il grande illuminista, filosofo e pensatore diceva: datemi qualcosa in cui credere, datemi qualcosa per cui battermi o almeno datemi qualcosa da fare. Non riducete Voltaire, aldilà del sottile irrinunciabile sarcasmo, in quel datemi qualcosa da fare, c’è l’essenza e la “Lanterna” dell’Uomo laico, che se non riesce, proprio, a trovare spiegazioni trascendenti, almeno rappresenta il suo ruolo con dignità e appunto da la sua spiegazione.
Se ami qualcuno e ti dai da fare per lui trovi una spiegazione, dai una soluzione. Fred amava la danza e rappresentava eleganza, armonia (quella che manca) vitalità (quella che si cerca sempre) gioia e allegria nonostante tutto. Lui tra una “cabriole devant”, un “derrier a la second”, ma soprattutto all’inarrivabile “double cabriole” ( al quale rinunciò con l’avanzare degli anni per rispetto a Tersicore) una menege e una pirouette fino al’inarrivabile onomatopeico, tip-tap rappresentava in arte se stesso e in estetica il suo tempo.
La dimostrazione, che questo concetto di rappresentare se stessi aldilà delle fortune e delle sfortune è paradigmatica in Frederick Austerlitz in arte Fred Astaire, il più grande ballerino di sempre anche per George Balanchine.
Lui comincia e si afferma negli anni ’30, quando il mondo raggiunge la perfezione almeno in armonia della raffinatezza borghese a fronte dei tanti problemi sociali del popolo. Ma Lui balla (con Ginger) e incanta e fa dimenticare a tutti le recessioni e i problemi e un po’ tutti alla fine ballano con lui. Ma, il mondo impazzisce sembra un incubo ancora più grande dell’incubo stesso, Lui invecchia ma non si rassegna e danza, indossa il frac e il cappello a cilindro e soprattutto le Sue scarpe italiane con le claquettes sotto e con quel tip-tap sembra rispondere ai colpi di mitragliatrice, con colpi a salve di speranza di vita contro quelli lugubri della guerra. Poi finisce per incanto e chi non si è fermato, torna a danzare, il passo e lo slancio é sempre lo stesso e così nel ‘50 e nel ‘60 come una immarcescibile icona movente, cui il pensiero va grato e speranzoso, nel bene di un sorriso e nel male di un rimpianto.
Lui non si è mai tolto dalla “competizione” , come fanno tanti per stanchezza o sfinimento, per viltà o recondita ripristinata ignavia, spesso per sfiducia o solitudine. Qualcuno dirà grazie con quel successo! Non è così a volte il successo può essere una catena di solitudine e amarezza. Ricordate il mito di Er? Ulisse, potendo, sceglie una vita anonima ma tranquilla. Ma Er non lo conosce nessuno, Ulisse è l’ipostasi dell’Uomo e della sua volontà di conoscenza.
Baldassarre, un altro, piccolo, grande, eroe artigiano, di queste nostre modeste novelle soleva dire (per conoscenza diretta del redattore) che la scarpa ha un’anima al movimento, e un corpo, dove la tomaia è il cuore, la suola le viscere, la linguetta il volto e le stringhe o la fibbia la costrizione della vita. Le claquettes in questo caso la voce e il pensiero. Per questo le nostre scarpe hanno potuto essere calzate da un angelo, per la loro perfezione e per la loro anima di movimento. Ma che anima ha un angelo? Adesso non lo sappiamo, forse lo sapremo. Il nostro Fred grazie anche un minimo a Capezio, era un Angelo, con scarpe artigiane, e quel che a noi ancor più giova, italiane.
Sentite la musica, gli angeli ballano sempre.
fonte: http://www.casartigiani.org/IT/media/racconti-artigiani-nel-tempo/angeli-con-le-scarpe-artigiane-e-italiane
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